Credito. Confimprenditori: “Prestiti alle imprese in calo dell’1,4%”

Continuano ad essere difficili le condizioni dell’accesso al credito delle imprese in Italia. E purtroppo il nostro paese sembra essere in controtendenza rispetto al resto dell’area euro.
La fotografia emerge da un’analisi del Centro Studi ImpresaLavoro della Confimprenditori. Secondo il report, elaborato analizzando i dati resi noti dalla Banca Centrale Europea sul volume di credito erogato dal sistema bancario alle società non finanziarie, nel  2015 i prestiti al sistema produttivo sono calati dell’1,4%, nonostante gli sforzi messi in campo da Mario Draghi e dal Quantitative Easing. Quest’operazione, infatti, ha consentito alla Bce di acquistare sul mercato secondario 60 miliardi al mese di titoli di stato dei vari paesi europei (target poi elevato a 80 miliardi a marzo di quest’anno) con l’obbiettivo di garantire al sistema bancario la liquidità necessaria per far ripartire il credito a famiglie e imprese. I risultati non sono stati, però, gli stessi in tutta l’area euro. Nel nostro paese, come detto, il credito alle imprese non è ripartito, a differenza di quanto accade per la principali economie continentali. Rispetto ai volumi di dicembre 2014 le imprese tedesche hanno visto crescere i propri volumi di affidamenti dell’1,6%, quelle francesi del 3,3% mentre quelle spagnole hanno registrato un calo (-1%) comunque più contenuto di quello italiano. In cima alla classifica dei paesi che hanno avuto un andamento positivo del credito alle società non finanziarie c’è il Lussemburgo (+8,8%), seguito dalla Slovacchia (+6,8%), dall’Estonia (+6,4%)  e dalla Finlandia (+5,2%). In coda, peggio dell’Italia, fanno Portogallo (-2,1%), Olanda (-6,0%), Grecia (-6,3%), Slovenia (-7,5%), Irlanda (-9,7%) e Malta (-15,2%).
La ricerca del Centro Studi ImpresaLavoro per la Confimprenditori segnala poi come il credit crunch abbia colpito pmi e grandi imprese in misura diversa. Secondo i più recenti dati Ocse, che prendono in considerazione gli anni della crisi tra il 2008 e il 2014, all’inizio della crisi il tasso di rifiuto era dell’8,2% per le pmi e del 7,7% per le grandi imprese. Queste ultime fanno registrare oggi un tasso di rifiuto inferiore al 2008 e pari al 7,2% mentre la condizione di accesso al credito delle pmi è ancora superiore all’inizio della crisi e si attesta all’8,4%. Analizzando, nello specifico, l’andamento del tasso di rifiuto tra le pmi si può notare come questo sia ancora lontanissimo dai livelli molto bassi del 2007 quando solo 3 imprese su 100 si vedevano negato il credito richiesto, ma anche e soprattutto dai livelli di rifiuto fatti registrare nel 2009 e nel 2010.
La notizia positiva è che dopo il picco raggiunto nel 2012, oggi la situazione sembra essere in lento ma costante miglioramento. A non migliorare, invece, è lo spread che separa piccoli e grandi nel costo del credito. Nel 2014 le pmi hanno mediamente pagato gli affidamenti ricevuti  per i loro investimenti ad un tasso annuo del 4,4%, in discesa rispetto ai picchi del 2008 (6,3%) e del 2012 (5,6%) ma in netto aumento rispetto ai valori del 2009 (3,6%). Le grandi imprese, invece, pagano oggi il denaro il 2,6% su base annua, in linea con i valori del 2009-2010 (2,2%) e meno della metà di quanto pagavano nel 2007 (5,7%). A colpire è la differenza tra le due classi di imprese: lo spread tra il costo che sostengono le pmi e quello che sostengono le grandi imprese si è nel tempo allargato sempre di più. Prima della crisi c’era una differenza tra i due tassi di 0,6 punti percentuali, cresciuta fino al 2% del 2013 e scesa all’1,8% nel 2014. Questo significa che le pmi sostengono oggi sui propri prestiti oneri finanziari del 69,2% più elevati rispetto a quelli delle imprese più grandi.
“Numeri che non possono lasciare tranquillo il nostro paese – commenta Stefano Ruvolo, presidente della Confimprenditori – che fa registrare, una volta ancora, performance più simili a quelle di economie deboli e periferiche che dei tradizionali partner e competitors europei. E’ poi utile ricordare che quando ci riferiamo alle pmi, stiamo comunque analizzando aziende che hanno tra 20 e 249 occupati. Non si tratta quindi di microimprese ma di un tessuto produttivo che rappresenta la stragrande maggioranza delle aziende operanti in Italia. Se il credito non riparte per loro, è difficile immaginare una ripresa strutturale di produzione e investimenti”.

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