No all’Autorship, sì ad avatar, nickname e droni. Perché Google non è Google

googleQualità e affidabilità delle fonti sacrificate all’altare delle logiche di mercato

Nel giorno in cui Google annuncia la fine della triennale sperimentazione dell’Authorship, che prevedeva l’attribuzione dei contenuti nella pagina dei risultati di ricerca, con tanto di volto dell’autore vicino al link e collegamento diretto al suo profilo Google Plus, il Wall Street Journal – citando fonti interne a Big G – svela che il colosso americano sta sviluppando un sistema di droni per la consegna delle merci.

Un esempio di implementazione della Google Authorshiop
Un esempio di implementazione di Google Authorship

Tra le due notizie non vi è alcuna relazione. Ma il loro accostamento permette di evidenziare che “Google non è Google”. Gioco di parole per dire che ciò che molti indicano come Google è in realtà Google Search, un motore di ricerca, uno dei tanti prodotti di Google Inc., azienda che ha interessi in numerosi campi e che offre servizi sia online che offline.

Google Inc., ad esempio, detiene i circuiti pubblicitari Adsense e Adwords, sviluppa il browser Chrome e i sistemi operativi Chrome Os Android, supervisiona la produzione di smartphone e tablet targati Nexus e di computer Chromebook, vende device e contenuti multimediali attraverso lo store Google Play, offre servizi cloud e di hosting. E l’elenco sarebbe molto più lungo. Solo nell’ultimo anno Google Inc. ha immesso nel mercato due delle principali novità del settore ITC: il Chromecast, dongle Android per apparecchi televisivi, e Google Glass, prodotto simbolo delle tecnologie indossabili. Sta inoltre progettando una rivoluzione dei trasporti, con auto che circoleranno senza autista.

Google Search, e tutti i servizi che ruotano attorno ad essi (Google Maps, Google Notizie, Google Video, Gmail, Google Plus e altri) sono prodotti di un’azienda che, come tutte le aziende, ha per obiettivo quello della massimizzazione dei profitti.
Google Inc. segue dinamiche di impresa: coltiva i progetti più redditizi, taglia quelli improduttivi, ed effettua aggiustamenti in corsa per ottenere maggiori ricavi.
L’Authorship, tanto amata da giornalisti e blogger, è caduta sotto la mannaia delle cose ritenute da Google non utili al proprio business.
Un peccato, perché l’attributo Rel=Author aveva fornito la possibilità di promuovere se stessi e di avere maggiore visibilità nella pagina dei risultati di ricerca. Inoltre, implementandola, Google aveva fatto intravedere la volontà di costruire un’idea di Rete nella quale i contenuti originali e migliori vengono premiati e gli autori sono chiamati alla sfida della qualità per poter ottenere un vantaggio competitivo sulla concorrenza.
E invece pare che la direzione intrapresa sia ora un’altra, come suggerisce anche la possibilità, recentemente introdotta, di poter partecipare alle discussioni su Google Plus con un nickname, quindi mascherandosi dietro l’anonimato.

Si ritorna, dunque, ad avatar e nomi di fantasia? Il motore di ricerca adotterà un nuovo sistema per valorizzare i contenuti di qualità?
Domande che troveranno risposta nei prossimi mesi.
Risposte che però non saranno date dagli utenti, ma da Mountain View. Basta saperlo, e sentirsi sempre ospiti in casa Google.

 

 

Andrea Rotoli

Giornalista. Classe '83, l'anno in cui viene adottato l'Internet Protocol. Mi piace pensare che non sia una coincidenza. Scrivo (anche) di tecnologia e social media e mi occupo (anche) di uffici stampa.

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