Coronavirus Covid-19. Quando anche le parole contano

I consigli dell’Oms per evitare discriminazioni. E contrastare la disinformazione che si sta diffondendo più rapidamente dell’epidemia

Le parole sono importanti, ammoniva Nanni Moretti. Lo ribadisce una volta di più l’Organizzazione Mondiale della Sanità che, in collaborazione con l’Ifrc, l’International Federation of Red Cross e Red Crescent Societies e l’Unesco, ha redatto una vera e propria guida, rivolta alle istituzioni governative, ai media e alle organizzazioni che quotidianamente trattano temi legati al coronavirus Covid-19, per prevenire e affrontare lo stigma sociale.
Frutto, quest’ultimo, di un’imprudente e scorretta associazione tra la malattia e particolari luoghi o etnie, che passa attraverso espressioni quali “virus cinese” o “virus di Wuhan” o “virus asiatico”.
Quando si parla di coronavirus, alcune parole (per esempio, “caso sospetto”, “isolamento”) e in generale il linguaggio utilizzato nella comunicazione possono avere un significato negativo per alcune persone e dunque possono alimentare atteggiamenti stigmatizzanti.
Le parole utilizzate possono consolidare stereotipi o ipotesi negative, rafforzare false associazioni tra la malattia e altri fattori, creare una paura diffusa o “disumanizzare” coloro che sono colpiti dalla malattia.
Tutto ciò può indurre le persone a non farsi controllare, a non farsi visitare e non rimanere in quarantena.
Anche enfatizzare gli sforzi per trovare un vaccino e un trattamento, si legge nella guida, può aumentare la paura e dare l’impressione che non siamo in grado di arrestare le infezioni. Infine, lo stigma può essere favorito da una conoscenza insufficiente relativamente a come il nuovo coronavirus viene trasmesso e trattato e come si può prevenire l’infezione. Di conseguenza, occorre diffondere, con linguaggio semplice privo di termini clinici, informazioni accurate e specifiche in relazione alle aree interessate, alla vulnerabilità individuale e di gruppo a Covid-19, alle opzioni di trattamento, a cosa fare per avere assistenza sanitaria e informazioni sulla malattia.
L’infodemia di disinformazione e di voci infondate, insomma, si sta diffondendo più rapidamente dell’attuale epidemia del nuovo coronavirus Covid-19, ed ostacolando gli sforzi di contenimento. Bisogna quindi correggere le credenze sbagliate, ed allo stesso tempo riconoscere che i sentimenti che prova la gente e i comportamenti a questi associati sono molto reali, anche se l’assunto di base è falso. Ancora, promuovere l’importanza della prevenzione, delle azioni salvavita, dello screening precoce e della cura. La solidarietà collettiva e la cooperazione globale sono necessarie per prevenire un’ulteriore trasmissione della malattia e alleviare le preoccupazioni delle comunità.
Diventa dunque importante condividere racconti che generano empatia o storie che umanizzano le esperienze e le difficoltà delle persone o dei gruppi di persone colpiti dal virus.
Quindi comunicare supporto e incoraggiamento per coloro che sono in prima linea nella risposta a questa epidemia come operatori sanitari, volontari, leader della comunità.
I fatti, non la paura, fermeranno la diffusione della malattia.

Luigi D'Alise

Giornalista professionista: scrivo, parlo, formo e informo per l'Ago Press. Slownauta apprendista: scatto, filmo, viaggio e assaggio per Slow Sud.

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